mercoledì 21 gennaio 2015

la morte non è verbo essere


la morte non si vede: ha lo spazio prolungato di un’assenza che non smette mai più. la morte non è verbo essere, ma verbo avere. possiede di noi tutto ciò che ci manca e ci mancherà.

come quando morì suo padre, dopo pochi mesi distesi nel letto in una posizione eretta verso infinito. morto di che? di cancro all’esofago. un fuoco rovente di morte in pieno petto, che non era nulla di per sé, non aveva identità, ma si stava lentamente espandendo nello spazio del corpo di suo padre. lo stava possedendo.

il cancro non era verbo essere, era verbo avere. avere quel petto, nutrirsi delle ossa della gola e del tubo che fa parlare la bocca direttamente con lo stomaco. un tubo di perdita, quello, di futura mancanza.

ricorda poco di quella morte, era piccola e la tenevano lontana dallo spettacolo di quel corpo, che si stava pian piano consumando in se stesso. ha ricordi sbiaditi, dice, poche cose, e tutte legate alla bellezza di quell’uomo così poco vissuto. dei suoi capelli color notte, del suo portamento magro e svelto e a modo suo imponente e fiero, sicuro di sé e dello spazio calpestato, del suo viso rassicurante ed elegante, come pure i suoi abiti marroni talvolta spiegazzati.

poi il nulla. il vuoto. l’assenza. la mancanza. ecco cosa fa la morte: taglia e non ricuce.

cosa fu suo padre per lei? fu un’assenza il giorno della comunione, un fantasma silenzioso, un’ombra taciuta dietro al colonnato della chiesa. le sue orbite vuote la fissavano nel suo abito bianco e semplice, mentre ella sentiva un vuoto vacillante negli intestini.

fu un’assenza quando partì e si trasferì a roma per lavoro. salutò quella matrona di sua madre, seduta con rigore nella sua sedia di paglia. aveva le dita intrecciate le une alle altre e poggiate in grembo con rassegnazione. la salutò e la baciò sulle guance fino a sfinirla. erano doppi quei baci, anche per un lui che era solo spietata mancanza.

fu un’assenza il giorno del suo matrimonio, quando cercava di incastrarne il ricordo, sempre meno vivido, dentro quelle lacrime dimesse. di gioia, sì, per la felicità di una nuova vita, eppure di dolore. il dolore già noto, quello della mancanza.

fu un’assenza quando partorì la prima figlia, quando ne partorì un’altra, quando queste crebbero e chiesero di lui, quando tornarono migliaia di volte in quella casa, in cui l’assenza si respirava a pieni polmoni.

la morte non è, la morte ha la mancanza di chi vive voltandosi indietro e non trovandosi nessuno dietro alle spalle. la morte non è, la morte ha l’assenza di chi ci protegge dietro alle spalle, senza essere più riconosciuto.

la morte sottrae presenza e addiziona dolore, moltiplica mancanza e divide i corpi. la morte non è verbo essere, ma verbo avere.
 
- bi
 
[andrei tarkovsky, the mirror]
 

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