venerdì 18 aprile 2014

una notte si svegliò con un vulcano dentro


una notte si svegliò che aveva un vulcano dentro. accese la luce in fretta e si alzò ritta sulla schiena, gli occhi di fuori. il cuore galoppava selvaggio e pareva ribellarsi allo spazio che lo conteneva.

una notte si svegliò che ardeva ed eruttava. sembrava che dovesse buttare fuori il rosso del fuoco, unito al nero ingrigito della brace, e far tremare il letto, come solo un terremoto spaventoso sarebbe capace di fare.

questo stava accadendo e la paura le faceva fuggire il cuore ancora di più prepotentemente. le bussava in petto coi pugni stretti a morte e batteva, batteva, batteva potente più che mai, pronto a fuggire lontano chissà dove.

ad un tratto la luce lieve del suo lume non bastava più a rassicurarla e, con l’ara intrappolata nella gola, disse due volte il mio nome. la prima volta mi chiamò sbiadita. la seconda pronunciò il mio nome terrorizzata, ansimando angoscia.

- che hai?

solo questo le chiesi e subito capii che occorreva accendere anche l’altro lume. boccheggiava con affanno e di nuovo il vulcano cominciò ad eruttarle dentro. bianca come un fantasma, mi spalancò il viso davanti, chiedendo aiuto con il timore negli occhi. mi alzai svelta e la presi piano tra le mani.

- vieni, vieni nel mio letto.

si stese davanti a me, con la pancia volta al soffitto, e prese a respirare più veloce. le presi la mano. ero girata sul lato destro e la guardavo fissa. ero certa che il mio sguardo addosso l’avrebbe tranquillizzata un po’.
 
si girò anche lei sul lato destro. le carezzavo la mano, le sfilavo i capelli dal viso, il mio abbraccio le fasciava la schiena, in attesa che il respiro rallentasse quella corsa. sentivo con le dita il suo viso inumidito dalla preoccupazione del vulcano che le batteva dentro.

nel frattempo il mio letto era nel mezzo di un terremoto. il suo cuore sembrava avercela col mond’intero, bestemmiandole dentro contro la vita e contro quella notte piena di buio e di ore insonni da dormire. galoppava veloce, pazzo di furia e pieno di forza.
 
eravamo distese, una attaccata all’altra, come fossimo per terra, su un terreno bollente in cui accanto scorreva lava rosso fuoco, che ci colava viscida tutt’intorno. il vulcano si era svegliato nel pieno della notte e noi non avevamo fatto in tempo a fuggire, perché lei ce lo aveva in petto. i minuti correvano pure loro, tutto mi pareva più rapido e mi scivolava dalle dita. provavo col mio respiro a dare ritmo al suo, facendolo rallentare per quanto fosse stremato da tanto fuggire.
 
piano piano il vulcano abbassò la voce e si piegò all’unico epilogo possibile: spegnersi per morire un po’. la lentezza la prese per mano e la accompagnò a farsi calmare dal silenzio della notte. respiri più lenti, il cuore calmato, il corpo più leggero: il vulcano s’era finalmente sopito. eravamo stremate. avevamo combattuto e vinto contro il vulcano e il suo feroce furore.

una notte si svegliò che aveva un vulcano dentro. con la luce del mattino ci abbracciammo e il suo petto aveva smesso di eruttare.

bi

 
[ph. francesca woodman]




“era ancora troppo giovane per sapere che la memoria del cuore elimina i brutti ricordi e magnifica quelli più belli, e che grazie a tale artificio riusciamo a tollerare il passato”.

gabriel garcia marquez, l’amore ai tempi del colera


martedì 1 aprile 2014

occhio malocchio prezzemolo e finocchio (seppure qualcuno l’abbia detto già)


[christina tsevis aka crosti]


ti auguro settantaquattro semini in ciascun mandarino.
ti auguro la dolcevita di lana con trentotto gradi.
ti auguro trentuno giorni al mese di sindrome premestruale.
ti auguro un barattolo di nutella incollato a morte sul pensile della cucina.
ti auguro che ti cada una bottiglia d'olio all'una e hai un'ora sola di pausa pranzo.
ti auguro le farfalline minuscole in dispensa.
ti auguro un selfie rugoso e pieno di borse e di occhiaie.
ti auguro che ti abbandoni l'amico immaginario.
ti auguro la ricrescita dei peli tripla, cioè una triade per bulbo.
ti auguro di lavarti i denti con il copri-occhiaie.
ma, se continui, ti auguro di lavarteli con il silicone.
ti auguro che ti vengano delle ascelle con le scie chimiche al seguito.
ti auguro il perizoma di due taglie più piccolo.
ma, se continui, te lo auguro di due taglie più piccolo e in bici per tre ore.
ti auguro un chilo in più per ogni inspirazione (che se espiri non lo perdi mica).
ti auguro una rumorosa flautolenza la prima volta che ci fai l’amore.
ma, se continui, te ne auguro una silenziosa e tossica quando ci sei in macchina e siete in due.
ti auguro una dedica con un apostrofo sbagliato, scritta con la bomboletta nera sul lunotto della tua macchina.
ti auguro accendini rotti per le prossime ventiquattro ore.
ti auguro cornflakes al peperoncino alle sei di mattina, che fuori è ancora buio.
ti auguro lo smalto scheggiato.
ti auguro il vino rosso sulla camicia bianca (che non è un disegno).
ti auguro il mostro sotto al letto di notte.
ti auguro la ricrescita brizzolata per una settimana.
ti auguro il tacco incastrato nei sampietrini.
ti auguro la bici senza marce con un chilometro di salita.
ti auguro gli gnocchi duri come sassi.
ti auguro che ti cada l’ultimo boccone di crostata.
ti auguro di aprire un bottone con asola come se fosse a pressione.
ti auguro mandorle amare.
ti auguro di avere da leggere solo un libro di fabio volo e da ascoltare solo robe di gigi d’alessio.
ti auguro una giornata senza esse emme esse, né uozzap [licenza po(i)etica].
ti auguro che ti ripetano proverbi e frasi fatte per due ore tipo mantra.
ti auguro di incontrare un orso e di non avere con te carta igienica.
ti auguro di assistere all’eclissi di sole e poi puff… che si annuvoli di brutto.
ti auguro idee fisse come se piovesse.
ti auguro che ti mettano puntini sulle i con le puntine.
ti auguro che ti s’impigli la coda di paglia nell’ortica.
ma, se continui, che ti si chiuda nella portiera della macchina.

bi

(lo si fa per giocare)