giovedì 22 agosto 2013

del mare

del mare amo le case colorate vivaci, 
l'aroma verde scuro del basilico, 
gli scuri intensi chiusi sulle finestre. 
la polvere smielata dei granelli arrampicati sui piedi, 
il calore che sprofonda nelle ossa, 
le gabbianelle dalle ali tozze e gentili. 
le barche incrostate alla riversa, 
le torri che segnano brevi distanze, 
la foschia di salsedine. 
i pranzi scalzi e inumiditi, 
i progetti dai larghi orizzonti, 
i silenzi portati a riva dall'andirivieni delle onde. 
la confusione dei pensieri, 
le mancanze appena accennate, 
gli occhi chiusi puntati verso l'alto. 
le pelli lentigginose e dorate, 
i celesti azzurrati, 
le pappe nella plastica per i più piccoli. 
il vociare delle vecchie altalene, 
gli ombrelloni legnosi e spalancati, 
le radici fradice. 
amo il mare per i suoi attimi mai uguali, 
per le vette segnate dalle sue onde sulla battigia, 
per il suo essere mare così come altri mari, seppure oceani, non sanno rifare.

bi

 
 
 
[ph. bi]
 
 

martedì 6 agosto 2013

stizzisciti(ci) e ristizzisciti(ci)

 



chi mi conosce (bene) lo sa: io scrivo all'ora di pranzo. a pancia piena e nel relax di una pausa prolungata e sola, illuminata alla mia destra e alle mie spalle. tanto che ora, alle sette suonate, fa strano.
poi non posso andarmene dalla angustiante vita cittadina senza lanciarvi sassolini di boiate e ribadire che sì: è quasi vacanza. quella dei calzoncini su gambe leggermente dimagrite e spelate, lievemente dorate e toniche il tempo che fu. quella dei ci sentiamo a settembre, piantiamo l'ombrellone in fondo a sinistra e lontano da tutti, la marca da bollo nel passaporto la attacco all'ultimo (leccandolo accuratamente dopo un bicchiere di coca cola), il solare dell'anno scorso è scaduto (hai comprato la crema nuova?), la calendula come se piovesse e l'aloe vera pure, le canotte colorate e tre o quattro felpe e cose così.
boiate, occorre parlarsi dicendosi boiate incredibili, per crederci e scoprirsi libellule ogni ora che passa di più, che ci divide dal fatidico venerdì (almeno il mio) dell'ultimo giorno.
chi mi conosce (bene) sa anche un'altra cosa: ferragosto lo chiamo capodanno. e già l'ho fatto pure quest'anno, dunque si preannuncia un altro agosto svampito dei miei. in cui mi ritroverò a cercare un bancomat (e a non trovarlo), perché mi dimentico pure i soldi per partire.
dicevo, capodanno. vuoi mettere un inizio anno in un caldo quindici, sotto le stelle cadenti di san lorenzo appena passato con vista montagna e con un bel quarto di luna crescente? che cammini per il paesello e dici: sono fortunata. siamo fortunati, noi tutti qui, ad avere un angolo stretto di heaven a due passi da casa, proprio due.
non mi mancherà nulla. nemmeno i biscotti gentilini e i limoni a foglia grande, che abitualmente compro. né le piante da annaffiare, che mi guardano ogni sera implorando parole dolci e gentili e ricevono un serale e umido: non sono fatta per la fauna di città, scusate. mia madre sa fare molto meglio e tornerà, non temete.
mi sento fresca come gli stickers appiccicati su un finestrino di una vecchia auto parcheggiata sotto il sole a mezzogiorno di uno sfigatissimo martedì con quaranta gradi. che poi, tutto sommato, mi rendono assai più felice dei due, tre gradi micragnosi di gennaio, che manco so com'è fatto per quanto me ne stia rintanata dentro casa al caldo sterile dei termosifoni.
chi mi conosce (bene) si ricorda che ogni tanto io rallento e mi fermo. e con tutta me stessa, ad occhi chiusi, dopo aver preso fiato con la bocca semiaperta pronuncio il mio sentitissimo GRAZIE.
a me, per questo anno pieno di parole scritte e stampate, che mi hanno reso viva più che mai.
a voi, per questo anno pieno di commenti in ogni dove (anche per sms), che rendono viva in me la consapevolezza che scrivere sia la mia strada illuminata.
a chi m'ama sul serio [pausa silenziosa] e sopporta i miei sermoni e lunghi monologhi, pesanti come un carro di buoi trainato da un canetto stanco e rinsecchito (che sarei io). e mi vede bella pure con l'ombretto sciolto sulle palbebre sudate. e mi dice che devo amarmi (molto di più) e dirmi brava (molto di più) e fa da esempio, dicendomelo.
a chi non mi ama, perché sì.
a chi mi è vicino in silenzio e quel silenzio io lo sento forte come una bella tempesta marina, piena di onde.
a chi mi è lontano e la cui distanza è difficilmente colmabile col fisico.
e poi un grazie speciale a mio nonno. quello burbero e comunque l'unico nonno maschio che io abbia conosciuto in questa vita. che quand'ero piccola mi ripeteva spesso, mentre eravamo seduti composti sul divano a tre posti davanti alla tivù accesa, due parole strane: stizzisciti(ci) e ristizzisciti(ci). perché pare che io ne abbia fatto un inno nella mia vita e a forza di stizzirmi non mi ricordo più come si fa a farsi scivolare le robe di poco e tanto conto addosso.
e allora grazie, nonno.
in fondo mi stizzisco (e pure tanto). eppure non mordo.

che buone vacanze siano per everyone, con tutto il mio quore.
(con la q).
bi


[ph. david lachapelle]

venerdì 2 agosto 2013

intermezzi di leggerezza

come quando lasci giacere i panni dispiegati sul letto. non hai più spazio per unirti a lui, ma che fa? loro giacciono in ordine cosparso e si mettono in posa come piccole opere d'arte contemporanee, anzi no, post-industriali e sincretiche, come fossero delle metropoli comunicazionali. e tu cominci a sentire le gambe che formicolano libertà e ti senti leggera.

anche quando ti arrabbi per giorni, dietro ai problemi che affliggono il mondo e sui quali pensi che qualcosa puoi (anzi devi), come fecero secoli prima anche giovanna d'arco e giordano bruno. eppure una parte latente di te medesima dice che potrebbero diventare delle specie di fantasticherie, tali da ossessionarti testa e spirito e basta. al mondo non fanno un bel niente.
e lo capisci perché poi un giorno stai camminando sotto un sole augusteo che ti piomba a picco sulla testa, mentre hai addosso tipo trentanove gradi e un'ottantina di umidità, e vedi che sotto le pensiline di bar e ristoranti, fatte anche di tende da sole, c'è una cosa pazzesca, di cui non immaginavi proprio l'esistenza: l’acqua nebulizzata! quella fresca vera! quella magica che non ti bagna e ti rinfresca, nel mezzo della città calderrima.
cioè tu non ci avresti mai pensato, eppure c'è chi lo ha fatto al posto tuo e il mondo è andato avanti. dunque, rilassati. pensa (e mangia) leggera e via.

pure quando ti esce un brufolo al centro dei due occhi, in cima al naso, poco sotto il nascondiglio segreto del terzo occhio. lì. che chi ti guarda negli occhi si perde e finisce per fissarti la tua orrenda bolla cremisi, perfettamente in tinta col tuo colorito imbarazzato.
sarà colpa del salame, ti dici, anzi no, della mozzarella fritta, anzi no, della nutella dopo cena, anzi no… non ti ricordi bene quali altre porcate abbia mangiato nei giorni precedenti, ma tanto qualunque pensi è quella di sicuro.
insomma, una con un brufolo al centro degli occhi, in cima al naso, poco sotto il nascondiglio segreto del terzo occhio, deve per forza sentirsi leggera. pena il suicidio anomico.


come quando litighi e ti racconti tutte quelle cose verissime sul fatto che hai ragione, che ultimamente hai ragione, ma in fondo, perché no, hai sempre avuto ragione in vita tua. e litigare è diventato ormai uno sport ripetitivo e tedioso, che a un certo punto prendi appunti sull'agendina a righe, annotandoti tutte le tue personalissime e rispettabilissime e dignitosissime obiezioni e capisci che, be', sono sempre le stesse.
le annotazioni, le frasi, tue e della controparte, sono uguali a quelle uguali della volta prima.
quindi stai un po' arrabbiata per fatti tuoi, rimugini, mentre di là pure rimugina la tua metà, alla quale dovresti per coerenza col momento topico togliere l'accento e chiamarla così: meta.
insomma poi una dei due cede, tu ovviamente, che avevi detto che manco morta avresti ceduto e tutte queste bugie così e vi vedete. arriva che sembra un orso grizzly affamato, mentre tu ti senti una cerbiatta sul ciglio del burrone e lo guardi con lo sguardo a dire: non ti fidare dell'aspetto mio, ché dentro ringhia una tigre di mompracen, cosa credi!
ebbene: guardandoti, scoppia a ridere. sì, ti trova semplicemente irresistibile. capisci che hai buttato tutti quei giorni di pesantezza nel cesso e la leggerezza torna ad alitarti sotto le piante dei piedi sudati.


oppure quando sei stanca e non esci, hai mal di testa e non esci, hai il ciclo a duemila e non esci, hai i rodimenti e non esci, hai strappato le fascette delle scarpe tacco dieci e non esci, non mangi la pizza e non esci, aspetti un invito perché fai la preziosa e non esci, ti senti mortificare e non esci, diventi in tre secondi furibonda per un ago in un pagliaio e non esci, esci ma è come se non uscissi.
ecco, sì: esci anche nuda, purché leggera.

gli intermezzi di leggerezza esistono, fattene una ragione. pure quando ti senti pesante come un macigno e odiosa come la sorellastra obesa di quella sfigata di cenerentola.
il segreto c'è: è sufficiente che diventi gatta. una mistica strega piena di pozioni e di bidibibodibibu, che per giunta sappia ridere di sé. 
spegni la parte sinistra del cervello e attiva quella destra. e capita pure che tu ti emozioni e pianga.

bi