venerdì 30 novembre 2012

credenze in credenza

la terza cosa che desidero fortemente con tutta me è la credenza.
una di quelle di campagna, alta e snella, con un vetro irregolare, grezza e mai perfetta, di un colore accogliente e gentile che un giorno saprò qual è e che ora non m’importa.
io tanto già la vedo.
ci devo mettere tante cose, pure le mie credenze.
i credo la riempiranno e la vivranno tutti i giorni, abitandola senza un ordine inflessibile in mezzo alla pasta, ai biscotti, alla nutella, allo zucchero, ai barattoli, alla teiera rossa a quadri, alla lavanda e nel rispetto del loro ordine naturale e di branco.
il branco dei credo non avrà capi, questo è certo: ognuno sarà il capo di se stesso e tutti insieme si sentiranno capi di tutti e di nessuno.
i credo più indifesi saranno difesi e quelli più sfacciati saranno messi nello stesso cassetto dei credo umili e più generosi e quelli timorosi saranno protetti dai più coraggiosi.
nella mia credenza vorrei che le debolezze di uno fossero tutelate dalle forze di un altro e non fossero prese di mira neanche dall’altezzoso servizio di tazzine di mia nonna, che si sente il più saggio perché più anziano.
io credo in me starà dentro lo sportello in basso a sinistra, perché rappresenta la prima certezza di ciascuno e dà solidità al sé. però, per non trasformarsi in un ego egoista e restare un me spiritualmente elevato, dovrà tutti i giorni alzare il capo e osservare tutti gli altri che vivono nei piani sopra e chiedere loro come stanno, se hanno bisogno di qualcosa, se vogliono il tè verde o quello orientale e cose carine così.
io credo nel potere della mente mia starà dentro lo sportello in basso a destra e sa che tutti i giorni dovrà impegnarsi a scegliere le parole migliori per vivere la vita migliore ed instaurare i rapporti migliori e mangiare i cibi migliori e tutte le cose migliori di tutte. per questo avrà vicino la cioccolata fondente.
io credo nella carbonara e nelle cose che fanno venire i brufoli e aumentano il colesterolo vivrà nel ripiano immediatamente superiore ai credo di prima: li nutrirà, all'occorrenza, di cose che non fa niente se fanno male a qualcosa, perché fanno benissimo a tante altre, tipo l’umore e il cuore, quello fatto con la punta rivolta verso il basso e due collinette in fiore sopra.
io credo nell’amore smetterà di mettersi in vetrina, per non rischiare di specchiarsi nel riflesso di se stesso: starà al buio dentro le ante cieche, perché li dovrà accendersi e fluidificarsi in luce. si concederà a tutti, senza aspettarsi biscotti gentilini in cambio, e sarà felice soltanto per quello.
io credo nella giustizia si esporrà in vetrina: la giustizia vale per tutti, pure per quelli che vivono fuori dalla credenza e vorrebbero andarci ad abitare o la ammirano e basta. la giustizia è giustizia e punto.
io credo nella leggerezza starà in alto, sopra a tutto, perché insegnerà a tutti a volare su e più su. avrà dei palloncini magici che aiuteranno i più pesanti a salire, che non sarà un salire per forza, perché con la leggerezza si impara anche a scendere e ad andare in profondità.
poi altri credo staranno un po’ giù, un po’ su, un po’ al centro, un po’ in vetrina, un po’ negli sportelli ciechi, un po’ nei cassetti.
tipo: io credo nei pattini a rotelle non in linea, io credo nel pane lievitato naturalmente, io credo nello shampoo senza parabeni e cose schifose così, io credo nei libri di non oltre duecentocinquanta pagine, io credo nei tram, io credo nei non-giudizi, io credo negli scarponi da trekking, io credo negli unicorni, io credo nella lana cento percento senza poliestere e acrilici insalubri, io credo nella cioccolata calda senza panna, io credo nelle canzoni degli smiths e in quelle di loredana berté, io credo nei paesi più piccoli, io credo nell’arcobaleno che ha più di sette colori, eccetera.  
le credenze in credenza saranno felici e io pure, tantissimo.
presto avrò la mia splendida credenza, che adesso sembra invisibile, ma in realtà no.

bi
  
 



“non faccio alcuna differenza tra un libro e una persona, un tramonto, un quadro. tutto ciò che amo, lo amo di un unico amore.”

marina cvetaeva, da “il paese dell’anima”
 
 
[immagine della mia teiera vera in carne e coccio, che si è prestata volentieri al blog di oggi, cioè l'ultimo di novembre. e vi saluta e vi ringrazia insieme a me.]

martedì 27 novembre 2012

a piedi scalzi sull'alfabeto

a come amiche mie.
il mio piccolo mondo in cui non scorre il tempo, né ci sono confini e distanze. è abitato da caldi pensieri attenti e colorati, ricamati di condivisione e dedizione. vi regnano risate e sicurezza, non ci sono streghe se non bianche e piene di pozioni magiche profumate.
b come bellezza.
una poetica trasfigurazione con due profondi occhi trasparenti, che penetrano le cose con la purezza incontaminata di un’anima vogliosa di stupore. si inala, si lecca, si sfiora, ci si perde dentro, si origlia, si pensa, s’immagina, si tace. è un sé che attraversa.
c come costanza.
un ritmo lento ed eterno, senza fine, senza sosta, senza stanchezza, senza paura, senza esitazione, senza ma, senza se, senza senza, con tanti con. una santa, santa costanza, dal viso rosa chiaro e capelli raccolti castani e mossi.
d come dono.
una sostanza che t’appartiene e che crea appartenenza quando la concedi. un sentimento, più che una cosa, un vettore con una direzione, una forza con un fulcro, una forma con un fluido che ci accende. infiocchettato, profumato e dolce. ci dà luce.
e come energia.
un attributo, un aggettivo qualificativo del tutto e dell’uno, dell’uno e del tutto. sta in un dito indice, in un cuore spezzato, in un rossetto lucido e appiccicoso, in un paio di pantofole di lana cotta, in un camino che arde, in un corpo che piange, in una testa che sale, nello zucchero di canna, nell’acqua del rubinetto, nel buongiorno detto e sorriso, nel bacio della buona notte, nel buio che ci copre.
f come fantasia.
vestita di piume bianche, leggera e bizzarra, fatta di carne e aria, senza tacchi, infuocata di passione. non cammina ma si sposta, non parla ma sussurra, non ti cerca ma si cela. sa come si ama e sa anche che sarà per sempre.   
g come gentilezza.
è una dea, si chiama gentilezza. si alza di buon mattino e sbadiglia, ma non è mai stanca. dorme solo se tutti dormono, è sveglia e vigile se solo uno è insonne. mangia, beve e fa l’amore e non vuol muorire mai. è sulla bocca di tutti, o almeno è nata per questo scopo. dicendola, la aiutiamo a non morire.
h come un sospiro.
un alito che non ha parole e non può essere scritto, ma solo immaginato. immaginiamo un tratto di silenzio, una pausa d’attesa, un pezzetto d’aria che spira morbidezza a labbra appena dischiuse. quella è l’acca. 
i come incanto.
incanta, lasciati stregare, ciondolati, sorprendi, sii tu in tutto il tuo te, afferra la bacchetta magica e compi la più incantevole rivoluzione che puoi: il giro di te intorno al tuo sole interiore.
l come luna.
luna piena di neve e di cambiamento. luna e l’altra, l’ombra che ci segue e che vediamo solo se ci voltiamo. il dito e la luna: lui la cerca, lei s’allontana restando. lunatica e ciclica, cammina ellittica in tutta la sua fulgida rotondità. non è lei che mente, siamo noi a non saperla tradurre. 
m come migrazione.
partenza, passaggio, volo verso il caldo, trasformazione. una comunità che si richiama e parte, s’aiuta, collabora, si spinge, s’orienta e si leva in moltitudine. un’individualità che finisce e trapassa, un uno che si spalma sull’universo. 
n come nutrimento.
cibo salubre, cibo per l’anima, cibo per la mente, cibo per la fame, cibo da palpare, cibo da vomitare, cibo da sorseggiare, cibo da mare, cibo d’amare, cibo per allattare, cibo che inizia per enne ed è perenne.
o come occhio.
il terzo, centrale, viola, acceso, più alto. dorme e tutto ad un tratto si desta e canta, suona per chi non ascolta, ma solo per chi sente. lo senti? 
p come pace.
p come pace. p come pace. p come pace. p come pace. p come pace. p come pace. p come pace.
q come quaderno.
a righe e con gli anelli, rosa fucsia appassionato, da scrivere e riempire, da leggere e svuotare, da sfogliare e portare al naso, disegnare, strappare, farci le orecchie, liberare e farlo volare.
r come rabbia.
una scia che grida rivoluzione!, che s’agita, che s’alza in piedi dirompente ed erutta, che straripa e inonda, sommerge, travolge, colpisce, zittisce, annienta, uccide. chi la prova e non la sa perdonare.
s come sia.
sì, sia. sia che siamo. sia che si ha ciò che a sé non si trattiene. sia sempre sì solo quando non è no, sia no quando la tentazione è dire sì. sia ciò che si è. così sia.
t come t’amo.
di un amore da amare che m’ama mentre io l’amo. amo te e me e il cielo che ci sovrasta e la terra che c’accompagna e l’aria che ci respira e l’alito che ci bacia. t’amo un po’ così, che diversamente non saprei fare.
u come universo.
un universo uno e multiplo. intero e frazionabile. bianco e nero, pure grigio. femmina e maschio, ma non solo. uno e due. più e meno, pure per. yin e yang. universale e particolare. universo soltanto perché va verso un uno, senza confinarlo mai.   
v come vetta.
immensa eppure stretta, sovrana. mi parla con una vertigine, le rispondo col mio respiro affannato e il cuore che spinge sulla gola. è un’immensa immensità.  
z come zitta.
zitta, non parlare, resta in silenzio: le parole ci separano.

bi






[creazione di duy huynh artist]

lunedì 26 novembre 2012

se fossi pizza, sarei capricciosa. e tu?

se fossi pizza, sarei capricciosa.
e tu?
rossa, con tanta mozzarella e un sacco di carciofini sott’olio.
con un velo di polemica, ma tanti sorrisi davvero un sacco al posto dell’uovo sodo, che proprio no, sulla pizza mia non ce lo voglio.
(pausa).
un giorno ho inveito contro una signora.
mica per lei, sia chiaro, per un suo gesto.
aveva buttato la busta dell’immondizia fuori dal secchione dei rifiuti.
sotto casa sua, mia, nostra, di altri.
con il secchione vuoto e aperto.
non mi ha capito, ha pensato che fossi una rompipalle maleducata, che alza la voce contro gli adulti e s’arrabbia perché vuole sempre avere ragione.
non essere compresa mi mette a disagio, ma poi pazienza.
(sospiro).
sono capricciosa, comunque, questo è certo, com’è certo che il nome mio mi si appiccichi addosso come una seconda pelle.
tu hai le alici?
buonissime, le alici.
io ho una sola fetta di prosciutto di montagna, salato, olive snocciolate tutte su un lato (il sinistro), salate, e il salame, pure piccante.
non è una questione di voler avere ragione, la mia, non m’interessa proprio, è una questione di funghi.
sulla pizza devono essere champignon, se no la pizza non va giù e mi si mette di traverso.
la mia è una trasversale forma di giustizialismo senza -ismo finale in negativo.
una volta ho detto stizzita a due tizi, assolutamente sconosciuti, che non erano desiderati.
eravamo in sette, sedute intorno a un tavolo all’aperto a ridacchiare e mangiare gelato con tanta panna.
parlavamo di noi, di robe femmine, cose intime e pure no e comunque non aspettavamo nessun altro.
questi si sono avvicinati e hanno preso con decisione due sedie, si sono seduti in mezzo a noi e, senza invito, ci hanno invaso di sottile e velata prepotenza.
le nostre voci si sono affievolite ed un imbarazzante silenzio è caduto con disagio, condito da un pizzico di paura.
- avete per caso chiesto con educazione di potervi sedere? non vedete che non vi parliamo? siete di troppo.
il pepe nero non ci va sulla pizza, chiaro no?
(scuoto la testa).
e poi si vede che non sono una margherita e c’è chi lo capisce alla prima occhiata.
sì, sulla margherita puoi metterci quello che vuoi.
invece la capricciosa e bell’e fatta, è già piena.
simpatica o no, non è questo che conti.
e anche la mozzarella di bufala sta bene solo sulla margherita.
sulla capricciosa ammazza gli altri sapori.
quali sapori hai tu?
mi piacciono tanto le pizze che non sono capricciose, molto più della capricciosa.
(sorrido).
è che l’ingiustizia mi accelera il sangue sulle tempie e in un attimo divento incomprensibile a tutti, a me stessa anche.
per me pure i diritti della carta straccia andrebbero rispettati, soprattutto se la carta straccia non la fanno parlare e si sente debole.
ci sono tanti piccoli mondi invisibili ogni giorno e questo le pizze buone non se lo dovrebbero dimenticare.
pure quelle che hanno i funghi porcini e il tartufo, che boh, io non le capisco tanto.
dicono che la capricciosa senza uovo sodo si chiami quattro stagioni.
io non sono d’accordo, oggi, e la chiamo capricciosa senza uovo, che mi capiscono tutti.
poi domani vediamo.

bi



[immagine di sergio mora art]

sabato 24 novembre 2012

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Avere paura della pagina bianca- ascoltare Empty pages dei Traffic per convincersene- bassa con la tendenza alla vertigine dell'altezza- profondamente e totalmente emotiva- razionale fino a sbatterci il muso contro- saggia fino all'assoluto della pesantezza- leggera fino a sembrare stupida- profonda come gli abissi della memoria del tempo- l'insostenibile leggerezza del non-essere- sono qui ma vorrei essere altrove, quasi sempre- sono altrove anche se sembra che sono qui- sembrare lunga dentro calze a righe bianche e nere- piccola calda e viola intenso- il colore rosso rubino del vino buono- combattere il vuoto riempiendolo di silenzio- tante parole dette di getto- tanti silenzi pensati intensamente- paziente come l'erba che aspetta a rinascere sotto la neve dell'inverno più lungo- qualcuno diceva, sei una città del nord-  dico che viaggio ogni notte fra San Pietroburgo e Santiago del Cile- la notte sempre la notte- la pioggia quando scende piano e lenta, come sospesa- terra in fiamme- Miles Davis-il sole solo d'estate dopo le 19- la luce gialla- la fotografia dove vede la bellezza attraverso- la poesia, solo, la poesia- la pittura se sono corpi che trasfigurano in sogni- i ricordi,  se sono di altre vite- le tue dita lunghe come fusi di madre perla- la tua musica solo se è estensione della tua anima- il tuo canto che fa commuovere l'anima- il tuo sguardo su di me che solo tu hai avuto e nessun altro- se ho amato non ho mai smesso- a chi ho detto "ti amo" che sappia che è per sempre- la verità se è vera si trasforma- i gatti girati di spalle che ti vedono lo stesso- il rifugio nel respiro caldo dei cavalli- la pietas- Krzysztof Kieślowski- non i perché- sensualità carnale- il seno morbido e bianco- il sesso rosso e pieno di carne- sensualità spirituale- trascendere l'intrascendibile- i giardini d'autunno- il mare perché non so percepirne il confine- non volere confini- il mio odiato bisogno dell'avere bisogno- un vestito bianco trasparente l'estate- il vento forte che non porta freddo- i capelli lunghi che si spettinano- le risate sulle cose stupide- le lacrime sulle cose stupide- quando piango e subito dopo rido e gli occhi sono bagnati d'aria- il senso del momento che poi svanisce- la balle di fieno a maggio- la Luna- i temporali- la danza delle streghe- mia madre coi miei occhi in una foto antica- Bernardo Bertolucci- i ladri di bellezza- i pittori preraffaelliti- l'amore multiforme- l'amore senza una forma- la lunga ferita della giovinezza- Cymbaline- Green is the colour- io un giorno che ballo con i lupi- If - Tarkovskiji- sogni della notte che cambiano i giorni-….


to be continued…

Di, che ogni tanto torna per cercare di andare.

venerdì 23 novembre 2012

le cose che amo sono verdi

 
 



sono cose e non cose e hanno dentro il verde.
gli alberi, le loro radici labirintiche, il loro profumo hanno il verde.
l’incessante energia di mia madre, che non è mai stanca e dorme le sue ore contate, è verde.
l’apertura della mia finestra verso l’infinito è verde.
la musica del primo mattino che scalda il silenzio ha un po’ di verde.
il letto alle dieci di sera è un tuffo nel verde.
i miei sogni dentro una sostanza che mi tiene lì sospesa sono verdi.
il mio corpo pieno di inconsistenza è un fluido verde.
mia sorella che dorme accanto a me profuma di verde.
una serata in piazza a bere birra ha un po’ di verde.
la bellezza delle amiche che amo è di colore verde.
il loro tono della voce e i loro cuori hanno un sapore verde.
la gentilezza e l’umanità sono sempre vestite di verde.
le note suonate dal violino volano alte e verdi.
l’ultima pagina del libro che amo nell’ultima riga è piena di parole verdi.
la mia gatta che viene in sogno e m’abbraccia è verde.
la nostra storia d’amore ci bagna di verde.
il suo messaggio con i fuochi d’artificio era pieno di verde.
i segreti sono verdi.
il vento in barca al tramonto sussurra con una voce verde.
il sole e la luna s’incontrano nel verde.
i pantaloni più belli di tutti sono verdi.
il cancello di casa mia è da sempre verde.
la maglia di lana a buchi di mia nonna era verde.
i fiori hanno dentro il verde.
una foto scattata di nascosto ha i contorni verdi.
le narici che respirano vita respirano verde.
i pensieri che portano lontano hanno un suono verde.
l’anima mia seppure ombrata di marrone scuro e ruvida è accesa di verde.
i pomeriggi estivi alle due hanno il silenzio verde.
il respiro del mio cavallo mi parla in verde.
le nuvole a forma di montagna sopra le montagne hanno i riflessi verdi.
il non detto ma capito è verde.
la solitudine della pace è verde.
i bambini, i bambini sono tutti verdi.
la nostalgia dei ritorni è umida e verde.
la comprensione dell’amore è dalla testa ai piedi verde.
la pazienza ha le scarpe verdi.
ridere è la più bella cosa verde.
saltare e correre sono un po' verdi.
scrivere è verde.
e gli occhi, gli occhi inumiditi e senza tempo di mio padre sono verdi, sono due meravigliose olive verdi.

bi 

“la vita, insomma, è molto solida o molto instabile? sono ossessionata da questa contraddizione. dura da sempre, durerà sempre, affonda giù fino alle radici del mondo, quest’attimo in cui vivo. ed è anche transitorio, fuggevole, diafano. passerò come una nuvola sulle onde.”

virginia woolf, da “diario di una scrittrice”
 
 
[immagine di arseny semyonov photographer]

lunedì 19 novembre 2012

la lattaia e altre cose così

la lattaia ha sempre avuto un nome che non le è mai servito.
lattaia è lei solo lei e nessun'altra al mondo, che di maria ce ne sono tante e di lattaia una sola.
lattaia significava tante cose: piccola, mora e riccia, con due gote rosa acceso e un po' ruvide, sorridente con tanti denti, con un grembiule celeste dai bordi bianchi e una grossa tasca al centro della pancia, occhiali con profonde lenti chiare, un dialetto stretto tra le labbra che mi faceva ridacchiare, una minuscola bottega lunga circa dieci passi e larga otto, la busta di latte bianca, di latte quello buono che non me lo ricordo quasi più, con le stelline azzurre.
stelline magre, intendo, tipo il simbolo della neve.
solo lei mi consegnava tra le mani quella via lattea per un soldo che le davo.
lei profumava di rosetta alla mortadella e la sua bottega pure.

una persona che si emoziona facile ha spesso una vita difficile.
esiste pure la pelle che si emoziona, io ne conosco una.
la pelle che si emoziona non è più quella discreta di un tempo.
di quando se ne stava in disparte e osservava tutto e non parlava con nessuno.
diventa rossa, s'infiamma, produce brufoli fuori stagione, prude, a volte si crede di essere una tela del puntinismo, altre dell'impressionismo, separa ma lascia trapelare, fa da confine eppure no, si sente assediata e reagisce.
straripare, potrebbe straripare.
straripare d'amore e non reagire più, sentendosi accerchiata.
 
da qualche tempo indovino le canzoni alla radio entro i primi dieci secondi.
questa cosa mi ha messo pensiero.
perché appena parte la canzone dico subito:
- ah, bella questa!
e la azzecco.
non mi sento intelligente, mi sento di più una robottina.
una specie di generatore automatico di titoli di canzoni dette a mente e senza voce.
ma guarirò, ne sono certa.

visto?
pure san martino s'è stufato ed è partito con l'estate sua.
era roba sua e, dopo avercene fatto assaggiare qualche sorso, ha detto che il nettare è finito e che novembre scalpita, perché vuole fare l'autunno inoltrato che conduce la natura verso il freddo e l'oscurità invernale.
fuori c'è confusione.
le fragole pensano che sia primavera e sono nate nel vaso di a., le margherite pure si sono spalancate nei vasi di l., gli storni ancora non partono, perché credono che in fondo qui non si stia poi così male e altre cose strane così.
questo tepore illude.
questo tepore ha illuso pure loro.

incrocerò di più le parole e le farò roteare come girandole colorate.
diventeranno farfalle, senza passare per il bruco.
il tedio mi svilisce e impallidisce, a me che sono già diafana di mio.
sono giorni difficili, di parole difficili.
non so stare composta quando serve.
e ora serve, sì.

bi 
 
 
 

"la scrittura per me è un tentativo disperato di preservare la memoria.
i ricordi, nel tempo, strappano dentro di noi l'abito della nostra personalità, e rischiamo di rimanere laceri, scoperti.
così scrivere mi consente di rimanere integra e di non perdere pezzi lungo il cammino."

isabel allende
 
 
[paper sculpture by the british artist sue blackwell, da design-dautore.com]

 

martedì 13 novembre 2012

vi presento novembre

 
 


io e novembre non ci siamo mai scambiati reciproca empatia. a lui piacciono le donnine tutte d’un pezzo, ammantate da gonne sinuose al ginocchio e tacchi dai cinque centimetri in su, che parlano perbene e senza parolacce, che trasudano femminilità, che stanno zitte e se non lo fanno è per dire cose maschili e per rispondergli che sì, è come dice lui: lui ha ragione, sempre. non si tagliano troppo i capelli e la riga se la spostano ogni due minuti, ad un ritmo lento e regolare come il moto di un pendolo che ipnotizza.
novembre è uno che si metterebbe un impermeabile da sherlock holmes, se solo potesse vestirsi, che parlerebbe con una voce decisa e calma, se solo potesse parlare, che tuonerebbe come un fulmine pieno di elettricità, se solo potesse arrabbiarsi, che sarebbe un’ombra, se solo si facesse spazio.
novembre è maschio.

è uno introspettivo, di colore scuro, dai passi muti, silenzioso, introverso, cupo, distante ma profondo. quel poco che dice è diretto a proclamare le verità più nascoste di ciascuno.
novembre è lento, ché se fosse un pianeta sarebbe plutone, lontano, freddo, solido, anzi durissimo. accende nelle sue tenebre delle minuscole luci gialle, mai dei lampadari, leggermente intermittenti, che messe tutte insieme disegnano delle righe perfette, delle colonne perfette, dei rettangoli perfetti. disegnano una geometria euclidea di lucine gialle, che durano qualche giorno, il tempo di ricordare i morti. è dei morti e dei vivi che non li lasciano andare.
novembre muta ogni essere vivente. i cervi maschi e adulti perdono le corna, abbandonando contro una quercia la forza e la lotta. basta lottare: arrendetevi e tacete. ordina loro e loro obbediscono, mietendo silenzio sui monti.
la pioggia scende copiosa, incessante, buia e anche non, che tutto lava e tutto purifica, che ti fradicia dentro e ammolla le durezze.
l’albero di noci non germoglia più, è stanco e si sente indebolito: ingiallisce tutte le sue foglie, una ad una, le dipinge con amore e precisione e le consegna al vento, piangendo in solitudine quell’amorevole abbandono, lasciando che il vento le stacchi e se le porti via, lontano verso l’inverno.
è il tempo del buio alle cinque, del tramonto alle quattro, del sole che a mezzogiorno è basso e descrive un arco sempre più corto e sempre più sfumato.
vi presento novembre, uno che non si fa amare da tutti. uno che ci vogliono anni fatti di pezzetti di trasformazioni costanti ed infinitesimali per riuscire a guardarlo per quello che è e cominciare a credere che il buio bisogna fissarlo, dritto, dritto negli occhi, con umiltà e coraggio, per poi sbocciare improvvisamente. uno che lo fuggi per anni e per anni pensi che sia quello sbagliato, da evitare, da emarginare, da coprire, da seppellire, da cancellare dalla memoria dei tempi. e poi ti salta in gola e diventa parola. uno che non fa sconti, che non t’insegue, che invece ti semina.
e lo ritrovi.
novembre è il tuo dentro, il mio dentro, il dentro di ognuno.
novembre è il ripieno.
fondente, amaro, nero, lucido, denso, melmoso.
novembre è la cioccolata fondente dell’anima. 


bi


[ph. jean françois lepage, the other side of the dream]

venerdì 9 novembre 2012

una sera a mezzanotte, un biliardino e sette piccole donne.

è la sera della pizza delle amiche del liceo.
quelle che a trentotto anni ancora si mescolano e condividono, come ne avessero ancora diciassette.
la scaletta e i copioni sono simili da sempre, quell’affine che ci dà certezze e che ci fa accarezzare i ricordi celeste chiaro della spensieratezza e le novità celeste scuro dell’essere cresciute.
più o meno insieme.
è un insieme grosso come un’enorme nuvola bianca, che lascia scoperto il sole, comunque.
è un insieme che non è per forza giorno per giorno, ma una strada lunga in cui ogni tanto c’è una piazzetta.
ecco, noi ci ritroviamo in piazzetta.
ci sediamo.
l. sceglie come sempre il suo posto in mezzo a tutte, dove tutte la possiamo avvolgere, coccolare, contornare con i nostri racconti e col calore dei nostri corpi amici.
g. vicino a l., così ogni tanto la può rimproverare da brava maestrina, proprio come quando al liceo si punzecchiavano.
perché anche quello è mischiarsi un po', senza che nessuna s’arrabbi per oltre tre minuti.
sono come madre e figlia, eppure altrove sono due madri e sanno farlo pure bene.
poi m. si siede accanto a g., esattamente come quando stavano al banco insieme e tornavano a casa insieme e s’innamoravano insieme e dormivano insieme e andavano in vacanza insieme e piangevano insieme e studiavano insieme e correvano insieme.
così.
a destra di m. c’è bi, di fronte a g. e a l.
ah, bi sarei io.
col mio fare protettivo, me le guardo teneramente, pronta a passare il mio compito di matematica e la versione di latino, senza manco finirli e pure ancora scritti in brutta, con delle cancellature come nubi d'inchiostro azzurro.
poi c’è s., che con i suoi capelli dorati e ricci mi arrotola su di lei e mi fa stare protetta.
e poi l’altra b. e di fronte s.
parlano di figli, di quanto siano orgogliose, stanche, assorbite, dedite, perdutamente ed infinitamente innamorate, che io faccio sempre una fatica grandiosa a seguirle e le guardo un po' così.
perché loro sono precisissime e parlano proprio di cacche supersoniche, pannolini che ormai sono praticamente delle robe digitali, mense dell’asilo che lasciamo perdere, genitori alle recite che si spingono e coprono la visuale agli altri, vacanze coi secchielli e le palette, lavatrici e asciugatrici che rivoltano minuscoli vestiti colorati, vaccini contro tutto e febbri da cavallo imbizzarrito…
insomma, che dico io che figli ancora non ne ho?
al mio solito io invento.
intanto la cameriera si è rassegnata: ci mettiamo una mezz’ora buona a decidere se prendere il dolce, chi lo prende, come lo prende, perché lo prende, dove e come lo prende e va be’.
paghiamo: sono settantanove euro.
ed ecco che, come tutte le volte, ci guardiamo piene di risate contenute e ci chiediamo tutte in coro:
- quant’è per unooo?
(sì, con tre "o").
e la risposta nel copione è già assegnata a g., che pronta e coi riflettori della ribalta davanti a sé, esclama soddisfatta:
- se fossimo state settantanove, sarebbe stato un euro per uno!
e giù che sbottiamo in una potente e fragorosa risata collettiva, che coinvolge tutti, pure quelli che sono seduti giù in fondo e il padrone della pizzeria che pensa che tanto normali mi sa che non siamo.
usciamo e inciampiamo in un biliardino.
l’aria ci punge i visi stanchi, è mezzanotte e, seppur contente, siamo tutte un po' sfumate.
- dai, facciamo una partita!
chiaramente io non so giocare: mi limito a sbraitare un po’, accecata dal sonno, e a scattare loro una delle mille foto ricordo dei nostri ricordi, che ci sembrano ormai quasi millenari.
giocano concentrate, fanno tanti goal e le palline rompono il silenzio della sera avviata.
siamo tutte ancora lì, avvolte da una lieve foschia.
quella del tempo, il tempo che non scorre da un pezzo.
sette piccole donne fanno molto caos e alzano la voce come niente fosse.
ma si mescolano con le stagioni e restano adolescenti per sempre.

bi




[raccolta di immagini di tamara de lempicka]

mercoledì 7 novembre 2012

e dimmi: com’è fatta mai una donna eccezionale?

per esempio non è uno stereotipo appeso su una stampella di ferro della tintoria.
prende tra l’indice, il medio e il pollice il suo nuovo rossetto rosso e se lo stende perfetto, senza essere perfetta.
non fa cento cose insieme e se le fa non lo sbandiera spavalda e se non le fa nessuno la critica.
non corre più e va a un ritmo tutto suo che non è corsa, né lentezza: va il giusto, il giusto per sé.
non abbina più la cinta alle scarpe, né le scarpe alla borsa, né la borsa alle calze e, se indossa calzini, sono rigati al tatto e verdi all’olfatto.
mangia la carbonara una volta a settimana e sorride, nutella quanto basta e sorride, ma mai la carne di cervo e il cervello.
ama più di una persona insieme senza fare troppe verifiche e senza svilirsi.
riceve ma non trattiene.
donando, riceve.
fa l’albero di natale con le robe riciclate e ridipinte.
va in bici con caschetto e gonnellina e guida la macchina con pinne e maschera.
si specchia facendosi pesantissime paternali a voce alta, per evitare di farne al prossimo e al venturo.
ti siede accanto mentre piangi, ma soprattutto strilla e salta se tu sei felice.
è un po’ eliocentrica e un po’ no e comunque non lo dà affatto a vedere.
dice genio quando si rivolge al maschile e genia quando si rivolge al femminile, senza badare alla grammatica e all’intellettualismo.
non dice che babbo natale non esiste: se lui ritarda, lei si mette un cappuccio rosso e la barba bianca e due gocce di profumo al pino.
guarda il destino negli occhi e gli dice sei mio come nessun altro avrebbe il coraggio di fare.
se si annoia, si annoda ciocche di capelli e pensa a cosa si cucinerà per cena.
apparecchia per uno come se fossero dieci, per dieci come fosse solo uno.
parla di sé con coraggio e degli altri con tenerezza.
legge anche topolino e i peanuts, non solo proust e jung.
si lecca le lacrime con ingordigia, perché il loro sapore è buono, che poi pure la cicoria è amara, ma buona, anzi buonissima.
usa i superlativi come le salviette e le salviette come i superlativi.
quando esce con le amiche non sembra mamma e quando fa la mamma non sembra amica, cioè sa essere tutto e l’opposto di tutto senza mischiare i tempi e perdersi gli attimi per strada.
va di corpo una volta al giorno o un giorno sì e uno no, poi semmai si fa una tisana all’aglio ripassata con olio e peperoncino.
starnutisce con la mano davanti alla bocca, in mancanza di mani libere ci piazza un piede, nudo e con lo smalto.
profuma di buono e il buono è un buono che tutti dicono mmm… buono! nessuno escluso.
si concede un regalo al giorno e i soldi non c’entrano niente.
partecipa come se stesse amando, perché per lei la partecipazione è un sentimento.
non sa tutto ma neanche niente, sa il giusto per imparare un’altra nuova cosa al giorno-barra-due giorni: in caso si dilungasse l’attesa nell’imparare, si farebbe la stessa tisana di quando non va di corpo (vedi sopra).
sbuffa senza sputare e sputa senza sbuffare, insieme e in modo sincrono eppure diacronico.
è un po’ streghetta che vola sulla scopa, un po’ fatina sul tappeto volante. non cade, più o meno.
poco si fida di chi non risponde ad una domanda e lei risponde sempre, anche con una bugia, ma comunque risponde (la risposta per definizione può essere verità o bugia, no?).
insomma, una donna eccezionale è una donna senza altri attributi se non l’aggettivo di se stessa.

bi



"se nascerai uomo non dovrai temere d'essere violentato nel buio di una strada. non dovrai servirti di un bel viso per essere accettato al primo sguardo, di un bel corpo per nascondere la tua intelligenza. non subirai giudizi malvagi quando dormirai con chi ti piace, non ti sentirai dire che il peccato nacque il giorno in cui cogliesti una mela."

oriana fallaci, da "lettera a un bambino mai nato"



[immagine tratta dalle creazioni di nicoletta ceccoli artist]


lunedì 5 novembre 2012

viaggio al centro della borsa

 
 


apri una borsa e tuffatici dentro.
all’inizio sembra un tunnel, ma poi è una roba che si spalanca e s’allarga in una dimensione parallela.
non lo sai che le borse respirano, se ne vanno in giro, si abbronzano, arrossiscono, starnutiscono, si stiracchiano, ingrassano, bevono, scendono e si sbrigano pure?
vivono da sole, non hanno mica bisogno di nessuno.
una volta abbiamo fatto un gioco.
- apriamo le borse, una per una, e mettiamo tutto il contenuto sul tavolo!
- sì, dai! chi comincia?
un attimo.
è un po’ come spogliarsi, aprire la borsa e scoprirne i segreti nascosti.
anzi, di più: è come togliersi il primo strato di pelle.
- io, comincio io!
g. è coraggiosa da sempre.
comincia a sfilare le cose una ad una, come fossero i petali di una margherita da staccare al ritmo di tanti m’ama-non m’ama.
le posa soddisfatta tutte in fila davanti alla nostra curiosità, perché non puoi mai sapere che ne esce fuori.
- un pacchetto di salviette umidificate, che non posso stare senza, per carità. la macchinina rossa di d., così se si annoia apre la borsa e se la prende da solo. il portafogli, che porta tutto, pure le foto di p. quando eravamo ancora fidanzati. gli occhiali da sole, sistemati dentro al fodero e avvolti nel panno per pulirli. l’agenda nera, dove mi appunto tutte le cose che devo fare così non mi sbaglio. un paio di calzini di ricambio di l., che è discola e cammina sempre scalza. e le chiavi, sì.
la borsa di g. è scherzosa, disegnata di pupazzi colorati, che chiacchierano allegri su ambo i lati e ogni tanto si scambiano di posto.
il dentro è in ordine sparso.
non è che tu la apri e le cose escono carine in ordine alfabetico, dalla più piccola alla più grande, dalla più giovane alla più vecchia, dalla più chiara alla più scura.
ogni segreto esce come gli pare.
e neanche lei, che la conosce bene, sa chi uscirà per primo e chi per ultimo.
ecco che tocca a m.
la sua è una borsa con gli occhiali, perché la borsa somiglia sempre un sacco a chi se la porta appresso.   
è una matrioska dai toni chiari del beige, un po’ ballerina e un po’ russa: si vedono gli occhi, il naso e la bocca semichiusa che si apre appena in una timida risata. 
tira fuori la prima pochette.
- allora, qui dentro ci tengo solo le chiavi: quelle di casa, dell’ufficio e del cancello, così le trovo tutte subito e non mi stresso. in questa rosa invece ci metto gli assorbenti e i fazzoletti di carta, qui lo stick di burro di cacao e le gomme da masticare alla menta e di qua le sigarette e l’accendino. poi c’è l’agenda, messa accanto al porta documenti dell’ufficio. il telefonino è attaccato al portafogli, così non m’imbroglio e ce l’ho sempre vicini.
vedete com’è educata la sua?
dice buongiorno grazie prego arrivederci come fosse sempre la prima volta.
le pochette sono tutte femmine, si vogliono bene, vanno sempre d’accordo e ognuna sa qual è lo spazio a lei riservato.
e se litigano ci pensa m. a rimetterle in riga.
è uno spazio organizzato in ordine crescente, che aumenta e va in su, verso l'alto.
quand’è il mio turno, mi vergogno un po’.
la mia borsa è sempre grande e grossa, spavalda fuori e ventosa dentro.
ci tira vento, sì.
arrossisco lievemente.
- il portafogli a quadri, regalo di mamma. questa è l’agenda, scritta con la penna blu: si chiama “agenda per anime delicate” (sia mai riesca a placarmi la mia luna in ariete, penso tra me) e ha tanti disegni e parecchi cuori. invece il telefono e le chiavi le metto nella taschina, per non perderli giù in fondo. infine ho un libretto intarsiato con i fogli bianchi, che mi ha regalato r., per fermare in breve quello che passa. e la sciarpa. e mi sa basta...
frugo ancora e sembro dispiaciuta. 
poche cose che nuotano in uno spazio immenso e vuoto.
timidamente ammetto che sì, è vuota.
ma anche che in fondo non importi quanto uno ce l’abbia organizzata, se ci siano sempre i fazzoletti, se ti risolva tutti i problemi con un click.
l’importante è aprirla e viaggiarci dentro.
e allora la riapro, adesso.
e scopro che non è più vuota.
semmai è piena di vuoto.
d'aria.

bi
 
[immagine scattata sfogliando una rivista, di sabato pomeriggio davanti ad un bollente cioccolato caldo davanti alle montagne.]